di Giovanni Torres La Torre

Luce che orna e disadorna come nelle belle figure
del giorno che si fa notte, o di quando
l’alba apre una ferita
che saetta dalla collina, dai libri dell’insonnia
che offrono innamoramenti di bellezza,
o dalla marina che ondeggia a serpentina
lasciando i tepori dei tetti alle tegole già sveglie
per volgere il giorno alle vele che salpano
all’orizzonte delle Isole di Cristallo.

Possono essere belle carezze degli occhi
altre linee che tondeggiano ferri di balaustre
in cerca di un raccordo tra dita
che intrecciandosi cercano il punto
ove chiudere il passo del ricamo.
Non sai dove giungere nel viaggio che proclami
per desiderio di abbracciare belle ombre
nell’assoluto che nessuno può negare,
pietra miliare al limite di un confine infinito
che esiste nel sublime, o anche in mezzo al guado
generoso al sussurro musicale della vita
che corre verso l’estremo limite.

di Giovanni Torres La Torre

Ancora una volta sono andati via
i giorni della merla
con la delusione stretta sotto le ali,
un dolore per il lutto del mantello
che non vuole mutare
nel bianco di una rosa.

Non sono uguali i due colori
dell’anima del giorno e della notte;
tengono quel fiato
nella somiglianza
di mani di innamorati,
quando la sera scolora
e dopo l’alba apre le finestre,
allegra congiunge la voce
al nome degli astri del desiderio.

di Giovanni Torres La Torre

Figure inquiete di costellazioni
si aggirano a chiedere alle amiche
cosa stia accadendo all’argento dorato che declina
nella luce prossima al rosso di fuoco.
Non c’è disegno ignoto che confonda gli occhi
al voluttuoso sorpasso che si abbandona
cercando in altro scialle
conforto di calore alla sua tiepida anima.

Di Giovanni Torres La Torre

In memoria delle vittime della Shoah,
di Paw Adamowicz assassinato dal lupo mannaro
sovranista e populista che si aggira per l’Europa

“Non c’è vita senza memoria ”,
così inizia a parlottare il vento
giunto da lontananze di barbarie,
Auschwitz ed altri inferni
presi in cura da quel regno del male
che progettava la more.

Lo aspettano parole di benvenuto,
gli ovali delle opaline dei cimiteri
incastonati nel freddo della luna,
la disperazione del maestro del paese
per la vita breve delle sue scarpe,
la penna e il calamaio a cui il ventennio
tolse la parola che recitava poemi.

“E’ la memoria che parla ancora
alle ore lievi, alle ceneri della Shoah,
ma quegli inferni premono alle porte
con altro fuoco”, sussurra ancora la voce,
lasciando angolo dopo angolo
ombre di passanti, ogni piccolo mondo
a pensare alle proprie colpe.

“Diario pubblico”

“Ti sono grata”, sospirò la parola alla foglia
ancora appesa all’autunno.
“La tua Bellezza aiuta a vivere,
il dono che offri è un delicato
ed eterno sentimento”
.
Il silenzio si fece desiderio di musica,
in voglia di festa, di ballare
con la luna, alzare le braccia
svolazzare le gambe sotto la gonna.
“Non è una tristezza se agli occhi di nessuno,
c’è la luna, con peluria di luce”, continuò la voce,
“e cerca un ritmo di tua natura”
.
Fu allora che quella tremò,
chiamata in causa per quell’eterno,
rimase in ansia di stella mattutina.
Quando sghignazzò il gallo alle campane del paese
ancora rimbambite dal sonno,
al giorno pieno venne la sua ora:
febbricitante tutta la notte,
decise di scendere dal castagno
alla ricerca di quel sentimento.

“Oh tremito meraviglioso!”, sussurrò
evocando Federico Garcìa Lorca,
ma la luna era già andata a dormire portandosi in compagnia
altri versi del poeta:
“Beati quelli che nascono farfalle
o hanno luci di luna nel vestito!”
.

Capo d’Orlando, Dicembre 2018

Parte prima – “Diario pubblico”

di Giovanni Torres La Torre

Vi amo, tremore di foglia,
emozione di palpebra
il vostro nome è Bellezza.

Quando si spengono i lampadari nel teatro dei giorni
l’altra luce che appare da dietro le tende
è ancora Bellezza.

Vi amo, bellezza che recita la finzione
rifugio dell’anima, della sete che rimane,
sangue che macchia gli inferni del mondo.

Vi amo, Bellezza del seme, fatica di zolla e dolore di frumento
oro che adorna splendore di grano saraceno
ladrocinio di Verre nelle terre dell’Impero.

Nel 70º anniversario della dichiarazione universale dei diritti umani

Diario pubblico di Giovanni Torres La Torre

 

Vi cerco, groppi di sete e fame,
tiranni dei continenti
fiumi di fogne;

vi cerco, porte sbarrate
urlo nelle scale
segnali che negano chicchi di grano;

vi cerco, filo spinato
altari senza calici
e lame che fremono al cuore dei santi;

vi cerco, briganti di passo,
untori delle terre dei fuochi
e contrabbandieri di veleni;

vi cerco, biscazzieri di Stato
predoni e mercenari,
mezzani di tresche e losche faccende;

vi cerco, monete false,
calendari senza feste
tamburi di morte;

vi cerco, carcerieri della parola,
piromani di roghi di libri,
macellai di chi scrive e di chi legge;

vi cerco, voci di lusinghe,
respiri di iene sulla carne dei bambini,
infami carcerieri di nidi innocenti;

di Giovanni Torres La Torre

Annunciano nome di poesia, ma non scorgi fiore stellare,
è lontana la radura del bosco di montagna
ove si nutre Centaurea minore di Chirone,
di quando curò dolore di ferita all’anima.
Fiancheggiano il fiume erbe per intrecciare ghirlande,
là, tra orme a grumo di fango,
un passero cerca sollievo alla sete.
Spirito di Mania dilaga un fiato di scirocco,
lentamente si defila verso il mare
cercando qualcosa che manca, forse stupore
di richiamo di suono, più lontano,
a limpidezza d’acqua capace di donare la sua lacrima,
ad aloni di miracoli di azzurri bianchi cieli
di cieli di nuvole, a scendere verso i ruderi
del ponte romano dell’antica Consolare,
là che un cedro solitario resiste in vita,
soggetto alla sfera astrale di Giove
e custode di ultime zolle.

di Giovanni Torres La Torre

Torneranno a raccontare il viaggio
con toni di Ballerina gialla e Falco pellegrino,
di altri richiami incantanti cari al poeta.
Sentiremo anche dire di cori
del Maestro Olivier Messaien,
del cielo fattosi lago sui tetti dei paesi dimenticati,
dei fiumi, dei canneti e delle terre di antichi frumenti,
di cori, lecci e corbezzoli
e sugherete delle Caronie, terra di fatica contadina.

di Giovanni Torres La Torre

A figure ancestrali
di visibilità mutanti

Non più rosso chiaro di violaceo di rupe,
né le delicate ombre e il canto
e la tana scura del tuo sonno, oh Thaina!,
ma visione sporca di polvere,
modello esemplare di bruttezza.
Ove erano abbozzi di animali sacri
e candelabri,
ivi sovrastano voragini che hanno violato
colonne di cattedrali, di quando
ascoltavano scorrere le voci divine di Ghida,
ruscellare cori di tutte le stagioni
in venerata compagnia.