Al nome di un pugno di terra

di Giovanni Torres La Torre

in memoria di Gea

Si fece silenzio e fu tremore di mano,
tenera foglia lasciava il dirupo
al compimento dell’ultima carezza alla pietra.
Petali d’acqua in gioco di spuma
accolsero l’anima del gabbiano,
abbandonava il nido appeso al chiodo
per generosa eredità alla solitudine.
In qualche lontananza,
ai ricami nascosti di una tenda
tremore di labbro sussurrò un nome,
palpitava una vela nel seno degli scogli
e in attesa di salpare,
già fosca la luna in quella parte di mare
del borgo marinaro di S. Gregorio.

Dalla collina, più in suso
e da balze che scoscendono
con basso tappeto di sterpi,
come gatto a piedi nudi un grido aveva concluso
il gioco di rincorrere spensieratezza di farfalle
nell’attimo che travalicano
il profilo dubbioso del sentiero.

Ad occhi chiusi, un antico calendario
cerca ancora confidenze di parole
nella speranza di poterle confidare
alla amorevole attesa di un cammeo.
Brilla più in lÃ
luce che non smette di urlare e fa eco
nel pianto della voce che proclama
ti voglio bene.
Il nome di un pugno di terra
sepolto in un calice di cenere,
è nel vetro verdino del muschio
che disseta, piegata nella pena del collo
la fisionomia che resiste
a inquieta sfumatura di lumino, quando tremula
si lascia andare allo smarrimento
confidando a stella di desiderio,
di volersi, con nuova natura
nascondere dietro il pudore di una nuvola
e restare in silenzio, in attesa della quiete.

Tornando ora sui luoghi, di chiarezza cilestrina
e incantata da sussurri, là si frange ancora
l’inquieta onda, nella figura della roccia
che sanguina per sua natura ferita sulla spalla:
ombra di fanciulla riposa nella pena notturna.

Le voci delle foglie, mai stanche di bisbigliare
hanno ripreso a giocare sulle alture,
dietro il sonno del faro, dalle parti della luna
che spende per occhi sognanti
la sua generosa moneta portafortuna.

Capo d’Orlando, Borgo S. Gregorio, agosto 2018

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