di Giovanni Torres La Torre
Annunciano nome di poesia, ma non scorgi fiore stellare,
è lontana la radura del bosco di montagna
ove si nutre Centaurea minore di Chirone,
di quando curò dolore di ferita all’anima.
Fiancheggiano il fiume erbe per intrecciare ghirlande,
là, tra orme a grumo di fango,
un passero cerca sollievo alla sete.
Spirito di Mania dilaga un fiato di scirocco,
lentamente si defila verso il mare
cercando qualcosa che manca, forse stupore
di richiamo di suono, più lontano,
a limpidezza d’acqua capace di donare la sua lacrima,
ad aloni di miracoli di azzurri bianchi cieli
di cieli di nuvole, a scendere verso i ruderi
del ponte romano dell’antica Consolare,
là che un cedro solitario resiste in vita,
soggetto alla sfera astrale di Giove
e custode di ultime zolle.
Altri piccoli e bianchi di mirto
abitano su quella terra, vicino al cielo
che vedi e non vedi, erotica nuvola
stanca del lungo viaggio che arriva dalla Grecia,
oh Venere divina!, ma si rinnova la sua corteccia
rossastra, diventa verde
allo specchio di limpida fonte di Poseidone.
Tra pennacchi di canneti, da fruscio d’angolo
giungono in corteo ninfe dei luoghi
a far visita all’organo a canne
il cui sonno rameggia
musiche nobili del padre di Alessandria:
non si fa attendere, confida l’incanto
a ramo dorato del tiglio, giallastro nella chioma
non è dato sapere se rimane per sempre
nell’anima di quel mantello
la percezione andante e maestosa dell’anima
improvvisa a mostrarsi, e di quella voce,
sin dove si riesce ad accompagnarla
nella fila del corteo che si sbiada,
di corale che abbandona la cantoria
verso la luce del portone, cercando
il germinare di altre emozioni, profumi di fieno
e meraviglie di scritture, di quando, a cantare per ultimi
erano richiami di uccelli, di mulini ad acqua
recitanti incubi di frasi mai udite,
reiterazioni ossessive dell’insonnia, della vita
quando insegue un rimpianto, foglia ancora in vita
di tenerezza di erba che si lascia morire.
Filo di Arianna lega le parole al passo dell’ombra
in cerca del luogo meraviglioso del silenzio,
lungo la fiumara ove pietra di bordo
anela al bacio dell’acqua, ma quella
svolta l’angolo e si interra, in altro oscuro regno.
Cerca scampo altro ramo di colore
che si perde nel vuoto della montagna di Thaina
ove anche la luna si illude di aver lasciato gli occhi
in balia di Morfeo, sognante nell’oro del miele millefiori.
A tarda notte, purezza ramata di eroe di Omero
si ripara nella città di Zancle.
Capo d’Orlando, 24.11.2018