Portella della Ginestra

Per il primo maggio 2017 – settantesimo anniversario della strage.
di Giovanni Torres La Torre

Fili di paglia attorno al sasso di Barbato
e il suo nome siciliano
– socialista nella vita dei sogni, si chiamava Nicola-,
invitano la memoria a ritornare
al giorno della festa per leggere le parole della pietra:
“u me cori dopu tantanni
ca Purtedda
enta petri
enta sangu
di cumpagni
ammazzati”.
Chi aveva potuto ascoltare in quel giorno di massacro,
credeva di avere a portata di mano un sogno di liberta’
e di terra; i bambini, con aquiloni o cercavano lucertole,
le madri negli scialli
e i giovani con bandiere di lenzuoli.

C’era il pane e il vino,
fritture di erbe e piatti da cucina
sulle tovaglie stese nel giorno della primavera
e i nomi che i vecchi ricordavano,
dei fasci siciliani dei lavoratori:
Giuseppe de Felice Giuffrida, fondatore
e Bernardino Verre, presidente
ma anche i morti di Caltavuturo,
Monreale, Pietraperzia, Lircara Friddi
Gibellina, Belmonte, Marineo
Santa Caterina,
le cartucce per fare fischietti
della repressione del generale Morra, levriero di Crispi
e la storia più bella e dolorosa della Sicilia
scritta dai contadini anche se privi di alfabeti.
Ma con passione e memoria
i nostri antenati raccontavano
i giorni assenti dei libri di scuola,
i quaderni che non abitavano le case
sicchè da generazioni a generazioni
erano le parole dei vecchi a conferire dignita’
ai morti per un pugno di frumento,
a tramandare i tempi della semina,
a guardare negli occhi i lupi del latifondo
reclamando il rispetto dei patti agrari.
Sul palmo della mano si leggeva
la qualità del grano, sulle labbra
il vino novello, il sapore dell’olio,
l’aprezza della vita che rompeva la schiena:
era altra cosa quando a fine giornata
gli schiavi della terra si abbandonavano
su giacigli di frasche di granturco.

II
Sulle bandiere della speranza,
anche quel giorno
storia avversa e infame spianò fucili da caccia,
non era finita la guerra
al popolo che reclamava giustizia e libertà,
acqua e pane e quaderni e libri di scuola.
Gli anni che vennero dopo
Continuarono a riempire i fossi incolti dei cimiteri,
i loculi generosi che potevano mostrare
parole scritte sulle lapidi,
volti di braccianti, con baffetti
da sindacalisti socialisti
eternizzati nell’opalina, e a futura memoria,
grigio-perla e camicia da festa
nel ritratto di Salvatore Carnevale,
qualche taglio di capelli alla Rodolfo Valentino,
fazzoletto nel taschino del petto
come nel giorno dello sposalizio
e nomi e cognomi arabi, normanni
o spagnoleggianti, di asprori di frutti,
di alberi e di uccelli o beneauguranti, nomi di venti,
a volte parole che dicevano
saluti estremi o saggezze di storici del luogo,
altre volte nomi di barche
nel viaggio verso l’altra vita, esperienza di remo
e puntigliosa a ricordare ai vivi
da dove venivano e chi siano stati
e dove vorremmo andare, se per cielo o per terra o per mare,
persa anche la bandiera, vela al giusto vento.
A tramandare a memoria presente e futura,
penna d’oca cerca un qualche fiore confuso tra le erbe,
una bacca per l’inchiostro
per donarli alla pietra, a nome da ricordare,
alle parole mai scritte
al rimpianto che si spezza
nel collo tagliato di una bottiglia di plastica,
sbilenco calice d’acqua
verdastra nella dimenticanza.

Capo d’Orlando, 1 maggio 2017

www.giovannitorreslatorre.it
giovannitorreslatorre@gmail.com

Il Primo Maggio 1947, a Portella della Ginestra “si abbattè il piombo della mafia e degli agrari per stroncare la lotta dei contadini contro il feudo” (parole scolpite in una grande pietra).

 

This entry was posted in .

Your email will not be published. Name and Email fields are required