di Giovanni Torres La Torre
E’ ancora lei, a piedi nudi e lieve nei polpastrelli di luce
a bussare alla vetrata dei fiori.
Ivi, petali di tante anime si consolano nei colori di Plinio
sulla guancia ricamata di un cuscino,
e, alla sera, nel saluto alla chiaria di prima
che già in confidenza con trame
di misteri notturni non si sottrae.
Bussa ancora, cercando riparo,
come quella volta rapita in camicia da notte
dal barbiere del paese, visionario lettore
di Miguel De Cervantes
quando declamava le sue follie
a malcapitati di una passata di barba.
Splendore semplice e maestoso
di amori che non si confidano più,
in abitini di rimpianto ci lasciano comunque vivere
le insonnie del silenzio con quella sua bellezza
capace di resistere alla luna piena, alla mezza gobba,
all’ombra che gioca e ci trascina nel vicolo,
nascondendoci al cono dei lampioni
forse per celare un dolore, come di altro sogno
nel giro degli astri al chiodo dell’orologio solare.
Ma il chiamare di voci di giochi dei bambini,
è allarme di rondini: un interludio orchestrale
con carezze di eleganza, fresco come acqua
dopo lunga sete che scioglie la gola, un bacio di Minerva,
morbidezza e cantabilità di un sentimento che si è lasciato andare,
sfuggito di mano per misteriosa e oscura armonia
in luce di luna.
Violino di solstizio accarezza tremori dell’anima
sorprende e consola solitudini di foglie che si cercano per una carezza,
o di fiore reciso che trattiene la mano
quando indugia sull’altare di opaline scoprendo che quell’altro silenzio
è vita nostra e di luna che continuano.
Capo d’Orlando, solstizio 2019