Tremore di foglia, il tuo nome è Bellezza

Parte seconda – “Diario pubblico”
di Giovanni Torres La Torre

Ha tante voci la vita,
grande suono di Bellezza
le sillabe della fame e della sete degli uccelli.

Se il lamento di strumenti musicali
rattrista l’anima di tutti i sensi
l’enigma è sempre Bellezza in cerca di variazioni.

Bellezza!, esclamò la foglia cadente,
è un’idea della vita, il bacio all’aria che si respira
il canto del fiume che corre a morire.

In corale di cattedrale in splendore di suoni
è Bellezza il capo chino di un velo
nel silenzio che si dispera per qualche sconforto dell’anima.


Splendore di Bellezza sono i diversi toni
delle parole del mondo,
confusione astrale del respiro della Terra.

È Bellezza quell’ultimo silenzio appena udito
che si nasconde in siepe di rovi, rossi negli occhi immaturi
in attesa di salpare nella giusta stagione.

È Bellezza il ritorno di una musica
che ritrova il tempo vissuto
come sogno incompiuto.

È Bellezza il sussurro stupito di Jacopone da Todi
Ave, regina/stella marina/luce divina,/
Bellezza formosa ¹

E’ bellezza quel silenzio sottile dell’ascolto,
il girotondo del coro che si tiene per mano
a luce di suono che compare e scompare.

Bellezza evocativa rintraccia un tango,
accarezza i tralci della vigna, si turba
e si lascia avvolgere da desiderio di vino.

È Bellezza il profumo di rosa che non chiede
il fascino della grazia, che concede
gli spazi più liberi della sua anima.

Bellezza sciupata delle mani
si ricompone nella prima natura
e si rinfranca nella carezza di Eufròsine.



Bellezza delle Tre grazie, Talia, Eufròsine, Grazia
quando ballano l’armonia
nel girotondo più bello dell’eternità della vita.
Bellezza che occupa gli spazi riservati dell’anima
dove si accendono e spengono i lampadari,
ceri di ogni devozione al silenzio.

Bellezza ostinata del fiore sulla canna del fucile,
del luogo silenzioso ove dorme nella dimenticanza
un piccolo altare con fiori di carta, chiamato mistero.

Bellezza delle astratte variazioni di un suono,
della voce che trema,
come quella volta dell’abbandono.

Divinità del suono dei flauti del bosco,
accoglie gli ospiti sulla soglia di erbe
del regno delle Ninfe.

È un luogo felice di melodia e di festa
E là, da qualche parte
è nascosto un tesoro.

Ma, la leggenda tramanda anche fandonie
e il sogno si nasconde per non sciupare
la sua bellezza.
Lo protegge la dea Artemide tenendolo per mano
e intenta all’ascolto della sinfonia del fiume.
Quel suono è dedicato all’astro nascente
ancora umido nel conio d’oro,
di amorosa luce che bacia le ombre,
si distrae a ignoto canto notturno,
a riva, sul noce adorno di liane.

Una voce suadente saluta le capre scese in cortile:
“Come state, belle signore?,
guardate, c’è anche la luna venuta per voi,
scruta la fisionomia di chi cerca sentieri,
trame di radici, l’amore vostro che sente chiamare
quel che più piace ascoltare.

Amantea, rallegra da quelle parti
racconti che paiono belli, anche lei
riceve i viandanti, vestita di gran gala
avendo desiderio di mostrarsi bella
come che tiene fuoco sotto il mantello,
nero lucente di velluto di capra,
lieve nel passo di danza sospeso sulle punte
quando l’inchino si accomiata,
scompare lasciando la scena
sospesa al filo del ricamo della sventura di Aracne,
colpevole di maestria di telaio
non potrà più raccontare
la storia del suo amore.

Capo d’Orlando, 21 Dicembre 2018

¹Dal Laudario di Cortona



da “Bellezza mutante”, Plumelia, 2019
premessa di Aldo Gerbino,
opera di copertina di Silvia Ripoll,

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