Uccelli del paradiso
possiedono bellezza di ali
che si può concedere
alla visione di infiniti silenzi,
di quando intrecciano azzurrine melodie
in tremiti sottili di variazioni.
Il senso pieno o smerlato
in congiunzione di voli
e la mobile geometria delle scienze dell’universo,
cercano in quel cielo
la nostra trasparenza
che finge, per mercato di vivere
di non conoscerne il nome.
A sera che verrà,
scende dalla luna
a denudare le sue fasciature
un nascondimento
in sofferenze di carezze
e un sogno
di un sogno nascosto alla palpebra di un lumino.
Altrove, smielata dai tempi
lunghi del suo languore,
risonanza di flauto,in scrittura, fa capolino
presentando il saldo del ristoro
alla manica larga larga di grazie di donna metamorfosi
che par venuta a offrire al viaggio
un soccorso cangiante di mappatura.
All’enigma di partire ineguale al risaputo,
voci misteriose di uccelli notturni,
dal bosco di Ducezio e cun multa bastanza
svelano pensieri di sottolineature
e vaghe tracce di devianze
a margini di punteggiatura
come sventura di precipizio di stelle.
Riprende fisionomia
la dimensione del tempo dimenticato
di bagnarsi le labbra
al calice di dionisio,
a leggerezza amorosa di foglia
che si lascia andare
al respiro lieve del glicine.
Nell’accadimento del sublime
che svolta l’angolo di partire
un corteo di alberi di paesaggi umani
incorona di alloro
di grafemi e fonemi
il silenzio che rimane
nel possibile e nell’impossibile del suo eterno.