LAURA DELLE NINFE
di Giovanni Torres La Torre
Donna Laura delle Ninfe,
lasciata in solitudine
dalla tastiera dell’antico pianoforte
− azzurrine di mistero tre rose
avevano chinato il capo
alla luce del davanzale
in languore di morte − ,
ma ancora in connessione
con il mondo dei suoni e la luce
del giardino della magnolia
e dei profumi che un ritmo canoro
congiunge,
in quell’ora che accarezza
altre parole d’amore,
rintraccia negli scarti della memoria
un dipinto
con due figure d’angeli:
uno, intento su pagine di piacevole lettura
l’altro, a suonare il violino
e con al centro una Madonna col bambino
di bella fattura.
“E’ opera di Piero Cosimo”,
annota nel diario, “conosciuta
come Madonna Cini”.
La nobildonna di amorevoli doti
si chiede poi “quale scuola avessero frequentato
l’angelo musicante e il lettore
le cui grazie
create dal pennello de i nuvoli dell’aria,
li accreditavano tra crature celesti”.*
Fluisce nella lentezza un ricordo
di soave intensit
che assume credibile forma di bellezza
e la madonna e il bambino
anche loro, di serenità non terrena.
II
Ma ora
lontani e perduti nel rimpianto
il velo della madre e l’altre grazie:
[…] “persa la storia della propria umanit
la mente umana lascia la luce
e le spine amorose del fiore,
l’acqua del pozzo, il bel canto
il libro e il profumo del pane,
i datteri e le reti dei pescatori
e dei ricami,
per agguantare coltelli da macelleria
e sgozzare madri e bambini
e la memoria degli antenati,
angeli musicanti
lettori di libri e vascelli di carta
e figure d’altre cose sublimi”.*
III
In altre pagine del Diario
Laura, amorevole
rimpiange
le cascatelle di note
quando con generosità sonora
[…] “illuminavano l’acqua
nel balzo rischioso dell’altura
che gli stessi uccelli tentavano
a bagnarsi l’ali per ristoro,
ma solo quando il sentiero si faceva ombra
la vita eterna chiedeva riposo
e anche gli implumi
maturavano tra le chiome
il volo delle vertigini”.*
(Ma ancora un brivido nella siepe svelava altro
nascondiglio e improvviso fuggiva per allarme da
precario possesso o preso da ebrezza di volo per
l’altra valle in verde che slavanca da terreni
ubriachi d’acqua).
IV
I rovi pensolano ora dagli alberi
come corde per condannati
e dopo averli avvinghiati a morte
sino alle alte cime.
Scrive ancora la diarista:
“Il silenzio delle vallate
non cerca più il passo del viandante
né le ricamatrici
i fili colorati per il telaio
né specchietti d’amore
pettinesse e spilli da balia;
né alberi fruttiferi e siepi di more
lo accompagnano
né colori folti di verde
guidano la selvaggina,
a scendere al gorgoglio dei ruscelli
guardinghi all’agguato dei bracconieri,
o gli armenti dimenticati
a brucare l’indolenza.
Non ondeggiano più le cavalcature
in viaggi rischiosi carichi di frumenti
ove Verre angariò i contadini
o altri vascelli
di pregevole legno
del lontano bosco delle sugherete”.*
V
La paura di restare soli
con i propri pensieri
nasconde gli strumenti musicali nei solai,
morte le rose di ogni estate della vita
non abita più da queste parti di mondo
l’amore
fattosi gioco con pupi di plastica,
né il profumo degli origani
nascosto tra i rovi
si svela generoso alla raccoglitrice
e si finge altro fiore.
Solo la luna
pietosa e di antica passione
accarezza ancora il muschio
appartato di un tronco in ritiro.
VI
Laura confessa: “Nella lentezza del giorno
sento morire ogni soave intensità di visioni
usurpata del nero delle maschere
di pretoriani di morte,
spargitori di veleni
nei fiumi e nei mari,
nelle fabbriche e nelle terre dei frutti
e ladri, usurpatori dei diritti altrui
assassini e briganti d’ogni risma
mentre si muore ancora per sete e per fame”.*
* Laura delle Ninfe, Diario.
Capo d’Orlando, Maggio-Luglio 2015