Per chi scrive il poeta

PER CHI SCRIVE IL POETA
NELLA GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA
di Giovanni Torres La Torre

Si scrive anche per gli altri, o soprattutto,
vivi o morti che siano
o frutti che nasceranno
dai fiori a mal partito nel gelo notturno.
Fiori del male? ossessioni della memoria?
immaginifiche visioni?
Il loro profumo, nel ricordo del gelsomino
al paese della madre, anche di notte, soave di bianco
spiava il sonno. Altri ancora,
quando perdevano le foglie, per lunga sete
si spegnevano nei petali, veline ingiallite
per ardore di lume.

Si scrive per i paesaggi lontani dai davanzali
che sporgono seni odorosi,
che evocano i colori amati da Plinio
nella luce che anima le vetrate bizantine:
il blu di cobalto di mari vaganti,
il rosso del mantello dei profeti
o giallore di spighe, rapite nel mistico alone
a formella di farina.

Si scrive per una sinfonia di cui il bosco si innamora;
melodie di Olivier Messiaen
si acquetano nel silenzio dei nidi
– nella notte, colomba verde, nella notte perla limpida –,
come quando tra le navate di Nostra Signora
i lampadari chiudono le palpebre per ascoltare
e anche i ceri si spengono per consunzione
lasciando in punta di piedi gli altari
in beata solitudine.

Si scrive per lo scorrere dell’acqua
di grande fiume che si incanta
negli spartiti della propria storia
o di povero ruscello che si torce
e poi si interra in radici di altra vita
per dissetare polpa di cuore maturo.

II
Si scrive in ricordo di un frammento
di Vladimir Majakovskij:
Io non conosco la forza delle parole
conosco delle parole il suono a stormo
non di quelle che i palchi applaudiscono.
La parola è nelle cose, basta cercarla
anche dove non appare,
nascosta sotto i velluti del muschio
o in viaggio di ritorno da terre di esilio,
ritrovata la patria, l’io creativo
l’essere o non essere,
la mano che convive con la vita e con la morte.

III
Antico tango, pensiero triste che si balla,
cecità che cerca la luna
e legge gli orientamenti delle stelle, il Don Chisciotte della Mancia,
o libri misteriosi della biblioteca d’Alessandria
e conosce le parole che non vede
dall’umidità dell’inchiostro ancora fresco
o sbiadito per lume di molte stagioni.
Si scrive per la fiammella di lanterna
che si avvicina alla finestra del giardino:
doveva essere una velina di carta che traspariva,
forse luce smarrita di luna o lucciola in mano divina,
o la vicina di casa che veniva a chiedere
un goccio d’olio per alimentare la lampa
la cui fiammella, al suo lucernario
stesse all’erta nel tenere lontani contorni di mostri
che abili giardinieri avevano sagomato,
con le siepi del labirinto del barone,
a somiglianza di guardiani, di attese inquiete
con minacce di spade, teste decollate di animali favolosi
e allegorie di diavoli a guardia dei granai.

Si scrive per raccontare la fatica del frumento,
la fragranza del pane che profuma le strade
e il cielo che si scura, mentre donna Nicoletta
attende la rosa calare al forno quando è l’ora
e ai figli impazienti racconta storie favolose di animali.

IV
Si scrive per le notti senza stelle
sotto il freddo delle lamiere
delle baraccopoli del mondo,
per l’antro della terra che ha divorato i minatori
e le spose in vedovanza rimaste aride al ventre,
sicché il mondo che si affanna
è quello straziato nelle vesti,
è quel ventre materno che respira veleni
nella Terra dei fuochi o approda alle isole dell’esodo
con la morte tra le braccia, straccio di polmone
sugli scogli di Lampedusa e Lesbo.

Si scrive per le speranze di Piazza Tahris,
primavera amara, per i nomi di Mohamed e Aya,
per la rosa che la donna dona allo sposo in carcere,
per Giulio Regeni e mille altri nomi e corpi
oltraggiati dagli sgherri della tirannide.

Si scrive per l’aria che profuma la sala del pianoforte
all’ora del tè, per le timide luci alla vetrate,
le mani assenti sulla tastiera, i fiori al davanzale
nelle cui sfumature di violetto
e nel merletto dei petali
indugia uno sguardo in vocazione di lontananza.
Crepuscolo di voci nel gioco che declina
senza accordi di note e silenzi sereni nei volti.

VI
Ogni giorno non siamo più noi,
scompaiono fiumi e montagne
e una umanità di nomi dolenti
allunga il passo in cerca di dimora.
I mari allargano le terre dei cimiteri,
continenti armati alle frontiere
cambiano lo stradario dell’esodo
segnando con nuove cicatrici
il volto martoriato di madri e bambini,
dei padri e degli antenati superstiti
e depositari di segreti di scienza e alfabeti,
del nome dei venti, dei luoghi nascosti delle sorgenti.
Dove c’erano palmizi si sventrano radici,
musei e luoghi sacri partoriscono macerie,
corpi e frantumi di antiche civilt
oltraggiati nella sapienza delle prime parole.
Si scrive per gli abitanti di Aleppo, per le braccia
amputate di Palmira, per Rabi Bana, attivista dei diritti umani,
a volo d’uccello dalla Siria all’Egitto, alla Libia,
alla Grecia, alla Sicilia.

VII
Si scrive per il “grande deposito delle anime
del campo profughi di Idomeni” e altri di Grecia,
antica patria di poeti che ancora si ama leggere.
Si scrive per i nomi alle ghirlande,
fiori pietosi, pietre e segnali su cumuli di terra;
per i nomi che non si conoscono,
scomparsi in migliaia e migliaia di identità di sogni.
Biancore di gelsomino che sbiadisce ogni giorno,
malfermo nell’età che sfarina, attende un passante
al quale chiedere con indugio di voce
dove sia andata a finire la stella svanita in uno sciame di cristalli:
a vana risposta, inventare qualche parola
nel gioco che sveli il destino dell’incompiuto ricamo.

Capo d’Orlando, 2-6 Marzo 2016

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