di Giovanni Torres La Torre
I
Tremolava nel canto di uccello notturno
bella luna giallina e mai stanca
di orientare sentieri di conigli
per dove solo innamorati udivano salire
da dietro siepe di infinito
misteriosi sospiri.
Non erano giunti, invece, da parte di mare
gridi di gabbiani mai dimenticati
o di altri destini
che si erano persi da qualche parte
in vana ricerca di un faro
ma da dove si immagina salutassero oleandri
con biancore di spuma.
Anche un cenno melodico –,
che sfuggito da qualche finestra
si alzava all’argento della luna
che faceva specchio,
ma prima che lo ghermisse un destino
privando la bellezza della notte
della parola che poteva dire,
(il riassunto della vita,
di quando si stringe nella figura della mano) –,
congiunto a giumella e con impercettibile suono
cercava altra natura di farina e sangue.
II
Eterna sete della vita
torna ora alla sorgente primitiva
accostandosi a figura di pietra,
lisa e con foglia di gelso alla bocca,
con desiderio incompiuto di donare un bacio
come a conchiglia d’acqua di cattedrale,
quando la mano si bagna bisbigliando soccorso
mentre, un passo più in là, gelosa nelle labbra
comune amica resta in attesa del suo turno.
III
Un’altra vendemmia ha lasciato la stagione
e col rosso ramato alla bocca,
a ricamatrice di figure d’uva su lini per dote,
di un tempo e di cui
si sono persi i rimpianti degli ornamenti
di racemi e sparse stelle di gelsomini.
Sono ora mani amorevoli, a esile filo
nel gioco ultimo che chiude il ricamo
cui viene consegnato il calice
che invita a bere evocando fantastiche visioni
di altri mondi diversi da quelli che abitiamo
e ove la vita pare voglia perdere il senso di restare.
Capo d’Orlando, Settembre 2017