Visibilità mutante con seconda pelle

di Giovanni Torres La Torre

 

La fotografia di Silvia Ripoll López
nasce da una immaginazione di insolita eleganza,
archetipo di esperienza figurativa
nella riproposizione di un vissuto
le cui figure si ritrovano concluse
nell’armonia di un arazzo,
trama di musulmani di Spagna.
Forme tenere di colori e scarti vegetali, –
capaci di ricordare e dimenticate
frantumi di reti e legni,
loro malinconie che risalgono in vita da fondali,
vetri e conchiglie che donano ferite,
abbandoni notturni di malinconici davanzali
e monili di naufraghi sospinti sulle spiagge, –
fanno parte, con vaghezza di passanti
in piazze metafisiche, dell’impatto
della coscienza percettiva con la realtà,
dell’autonomia ed eleganza conclusiva
dell’opera, onda lunga di emozioni, forma di figura
e modo di realizzare la composizione.

II
Altre immagini floreali, o purità di volti
nell’atto che si mostrano, – primavera
sul volto o sulla schiena, – richiamano
il bello di antica pittura
o il sonno di resti inquieti nel racconto
della loro storia: flusso narrativo che apre un calice,
infiora il pensiero della fronte di eroe,
si effigia in moneta di imperi ancestrali
e ancora da spendere, nel caso della mano
che nasconde l’altra faccia
di cui solo chiromante può svelarne il profilo,
o se rametto fiorito di gelsomino rapito
dal flusso narrativo per adornare
figura di nudo, bellezza e surrealtà, – non apparizione
dell’erotico velato, azzardo dei sensi, –
ma nuda di biancore di marmo,
estasi nel rintracciare musicalità di luce
nel suo giacere, o accompagnare movenze, o porgere le spalle,
poesia di Luis de Góngora, passione che riposa
di disviato pellegrino, in tenebrosa notte,
visibilità mutante con mantello di regina,
riflesso di specchio ferito da schegge
o stagno che culla nuvole e foglie d’autunno.

III
Altri occhi guardano rosa di pero delle nostre montagne,
ignote nella notte a margini di strade che costeggiano fiumi;
innestano sentieri che conducono al nulla,
ad altre foglie di oro ramato, trasparenze morte di reticoli,
pastrani di edere su antichità di muri,
nervature secche che tornano a pulsare
offrendosi a pelle di altra stagione:
sono indizi di emozione quando sorprendono
il visitatore dell’archivio di immagini dell’artista.
Lucerna viva che cerca il passo nel labirinto, come colta da morbo,
oscilla; incantata da un connotato semantico,
parola in viaggio da un significato all’altro, si smarrisce.
Colori di Andalusia, piombo, argento di spadini nel petto di madonne,
a lume di luna visionaria offrono altro volto,
anima doppia nella liturgia dell’artista,
vaghezza di oroscopo che lusinga,
esemplare del bello di natura, friatura d’età sopra legni di barche,
fantasmi di fiori di Plinio
che nascendo e morendo vagano da stagione a stagione,
tra insonnie di cespugli
o del verde di tenerezze d’erba quando oscilla:
sono essi e sono loro in fattezza umana
le belle pitture, tatuaggi e sacre stimmate
nel rosso del marmo di S. Marco d’Alunzio
con la vena innocente nella colonna della flagellazione
che l’acqua di fine corsa lava
torcendosi verso il mare.
Altra preziosità di pietra,
da lontananze di poemi omerici
nel bianco statuario di Fidia e privo di armatura,
torna ora con bordi ricamati sulla carne,
nostalgie di Itaca o ferite che non anelano a balsami.

IV
Una schiera di immagini cerca collocazione
all’interno di altra lettura
o è matassa di Arianna
in cerca di un senso che vuole essere nominato:
l’uscita dal labirinto
è nel segnale
che semplifichi
quello del linguaggio.

V
I ritratti femminili, regine di un tempio lunare
evocate in riservatezze d’estasi
cercano l’eleganza di una estetica,
consultano cartografie e mappe
per mandato ricevuto dall’artista
con definite tinte di inchiostri,
rossi, bluastri e gialli di Spagna, o pompeiani,
tutti in cerca di altra luce che non inganni
il giorno della festa e della vita
col vino ammaliato dalla luna,
dalla parola della poesia
che può dire al labbro del bicchiere
anche i nomi infiniti delle stelle,
tramando inganni perché non conosciuti,
ma gocce perfette ed eterne al mascherone dell’acqua
che disseta desiderio che suona alla conchiglia,
o cristalli che si frantumano.
Tra colori d’autunno, a svolta di sentiero
e uscito dal labirinto,
suono di altra vita fa capolino,
poetica del languore, sfuggente luce
che accarezza crepuscoli in attesa della notte
per abbandonarsi, dopo lungo viaggio
al sonno dovuto.

 

Capo d’Orlando, Novembre 2017

 

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