25 APRILE FESTA DELLA LIBERAZIONE di Giovani Torres La Torre
Si sfilaccia il bel racconto della Festa della Liberazione. Increspature di ruggine negli occhi dei nomi e delle parole, faticano a guardare slarghi dolorosi dei campi, di strade ove si insozzano le lapidi della memoria e il passante allunga l’ansia all’attesa dei portoni. Alla bestia nera – era anche un padre o giovanotto che la sera andava a fare baldoria nei lupanari del regime – importava poco dell’argento della notte di luminose costellazioni, della fatica del pane e della vita di altri amori: cercavano il sacerdote della carità, l’ebreo o il comunista, il bandito da appendere, i libri da bruciare, le piume del sogno nascoste nei cuscini. Questa memoria si rinserra ora nella venatura dolorosa dei nomi di quegli antenati deposti in luoghi sacri ove per devozione di libertà si torna, là che i passi avevano dimenticato ai margini vita di erba e brandelli di camicie di flanella. I tanti giorni della vita e della morte tramandano diversità di nomi, come le foglie: nella sorte della primavera e dell’autunno, nascendo e cadendo c’è sempre il sangue che macchia le ginocchia. Il ricordo non può bastare, se avrà ancora nome, sarà quel sangue, la parola e quella carne.