di Giovanni Torres La Torre
Accarezza il fiore della trama,
aspettando l’alba si intenerisce il telaio:
filo per filo nel pettine,
danza di piedi e mani e di navetta,
intreccio di spole colorate;
ma quando, al punto giusto lascia la mano
e il tac-tac si incanta,
la semplicità del silenzio scruta altro alone,
amorevole presenza di lontananza di volti
e rughe di ricami.
Ancora una volta, la luce riappare,
luminosa metafora
dell’ombra; profumo nascosto di gigli
in lode a malie di coro, fugge
dai silenzi del convento delle carmelitane.
Di quel che rimane, altra sete si adagia
su fuochi spenti, si fa pietra di focolare,
ciglio di memoria poco indulgente
come se la vita passata fosse una colpa,
e gli amori senza più voce
rimpianti da consumare: sono i momenti del desiderio,
di quando il non detto cerca ancora eredi,
reclama la presenza di parole conclusive,
una distanza che si avvicini e prenda per mano
il viandante, stelo di origano in vertigini di falco,
fanciullo del vicolo che non riesce a sognare.
II
La luna del poeta sussurra con tremito,
passando non trascura di seminare indulgenze,
si reca in visita al telaio, mai stanco di romantiche illusioni,
di ammirare le stelle e baciando i loro occhi
ascoltare il destino dei giorni e delle loro foglie
nei tocchi delle campane dei Nebrodi;
sostare innanzi alla meditazione di orologi solari
lasciati nei chiodi dimenticati su muri di calce,
spensierati e languidi nell’inedia dei giorni,
a memoria d’uomo, lenta, transeunte, eterna.
III
A pezzi e pezzi di ricordi, i volti
si vestono di polvere e gli specchi
riflettono storpiature di forme, per come
l’immaginazione le configura: segni mentali
e metafore, suoni che pare assomiglino ad altri suoni,
parole che indagano vastità di ferite
della terra fecondata;
spazio umano, vegetale ed animale
di quanti hanno scelto di abitarlo, si trovano là:
comunità di formiche uccelli ed erbe,
lacrime di brina, sistema di pensiero
con tanti modi di dire, ascoltare e vivere.
Parole della poesie cercano fiori
per accostarli al petto, per confidare un segreto;
amoroso, l’accanto incanta lo scultore
e si fa capitello, Narciso spregia l’amore
della ninfa Eco, la rosa gallica
invita a fare l’amore prima che il sole
l’abbia baciata asciugandole la freschezza
della notte.
IV
Stanca e nascosta, allodola del coro della cattedrale
consulta carte,
contemplazione conclusiva
nello sguardo che ha rintracciato un paesaggio
seguitando orme di profumo di alloro
per colline con mantelli striati di giallo e violetto
che si recano ad una festa di paese
con famiglie di felci.
Altre trame rincorrono eco del nulla,
chiaroscuro di sosta, mimo di racconto,
morbidezza di passo d’animale in attesa
della compagna e travestito da divinità,
nell’ora che il girasole reclina
nel giardino di finitezza
del convento con altari di glicine.
V
Paesaggio di monti; fiorisce il vento,
lasciando le arcate al bisbiglio delle orazioni
e vestendosi di merletti, scende al fiume
ove voce di cantore spacca le ultime pietre;
assenti in figura, fiati di fanfara
abbandonano il paese con saluti di fazzoletti
delle fanciulle del coro della cattedrale.
VI
Non ci saranno all’ultimo confine libri da leggere
né limpidi occhi cui confidare altri amori,
né giacigli di pannocchie nell’abbraccio della notte
per il meritato riposo di quando svaniranno
le apparenze dei sogni estremi.
Non ci sarà voce per altra tenerezza,
già ora l’arsura divora la vita e la terra
e i mari, vaganti cimiteri, né qualche altro amore
sventolerà bandiere, né ansie di mani tesseranno altri ricami,
né presenzieranno all’alba di Venere
dai mielati occhi divini del gelsomino.