di Giovanni Torres La Torre
“La luna era lontana, a imbiancare parole d’amore!”,
esclamò la civetta dalla residenza nascosta tra intrecci vegetali
di incipiente primavera.
Non si udirono i colpi di accetta che stroncano in due
la colonna della dimora lasciando al notturno richiamo
vocazione di partire o restare.
In mezzo al guado, i due silenzi
sostarono agghindati e attoniti senza alcuna sillaba
che chiarisse il significato di quella cerimonia.
Resta ancora quella sospensione di notte incerta che confina
con la chiarìa della prima stella,
là che la melodia del fiume non smette di raccontare
storie del mondo e del paradiso vivente
di zolle definitive di sonno.
Nessuno vorrebbe partire,
punge ancora freddo sotto le ali,
e intanto, oh intanto!, si continua a indagare
in quale luogo ignoto altro desiderio ha spaccato la pietra
con fatica di germoglio di frumento,
ma il sentiero ha divaricato il passo
sfidando l’ignoto verso lo sconfinamento,
luogo di cittadinanza di altra conoscenza,
delicatezza di altra parola che cerca finzioni segrete dell’anima.
Diranno loro, fili della trama di Aracne,
se hanno trovato scampo in qualche tana
di generosa divinità che ha insegnato a tessere
il tratteggio d’arazzo della loro identità
e il chiaro e lo scuro che appare inganno di rilievo.
Diranno loro se la luna
darà conforto all’ala spezzata del ricamo,
al piede nudo del viaggio, al grido sospeso
che chiama ancora il mito di un nome
felice in vita su questa terra mai stanca
di stringere le mani al viaggio del fiume
verso il mare.
Capo d’Orlando, 2 marzo 2019