di Giovanni Torres La Torre
Complessità lenta di tante cose della vita
consuma i giorni;
le parole, a volte sorridono sensi di umorismo
ma quando un cielo azzurro si spalanca
invitandoti nel suo precipizio,
la lusinga si riprende la scena,
una vena di sangue riapre l’adagio musicale
e il bosco rinnova il fiato con un transito
di coro e sconosciute figure
di danza e di farfalle.
Melodia cantabile dei sentimenti
che possiamo dire, ma arrivano
con passo felpato, fiato disteso
a nutrimento della solitudine,
forse di antica vita, di quando amare era un grido.
Zolle scomposte restano
in attesa di una voce
che si innamori dei loro occhi
perdutisi per l’emozione di sentirsi chiamare,
ma non ha più fiato il bambino
che tutte le sere moriva a Granada.
Al palo di Viznar non torna più a piangere
l’usignolo che in vita cantò la sua sorte.
La terra ora stringe altre radici,
invoca la gemma che anela
alla consapevolezza del suo incanto.
Ma da quelle parti
a piangere resta l’antica luna ancora in cerca
dell’angolo ignoto del cimitero
ove non fiorisce il gelsomino
ma astro misericordioso
resta a vegliare l’ombra spezzata nel petto.
In debito, cicale smarrite
porgono ad una pietra col nome di nessuno
melanconie di memorie che non recitano lamenti
con inutili ghirlande.
Capo d’Orlando Gennaio 2019