O luna di monte nella terra di Orlando!

O LUNA DI MONTE NELLA TERRA DI ORLANDO!
di Giovanni Torres La Torre

Con questa terza lirica dedicata alla Terra di Orlando – 98zero ha pubblicato le precedenti –, l’autore completa una trilogia di pura lirica. Il culto per il paesaggio della bellezza accattivante nella compiutezza formale, rende omaggio a un territorio delineandone fisionomia ed emozioni rintracciabili nell’incanto che il messaggio poetico trasmette. Ne ha ampiamente parlato il prof. Franco Ingrillì, presentando agli studenti di Capo d’Orlando la raccolta di poesie Luna Visionaria, prefata dal critico letterario Stefano Lanuzza e pubblicata da Prova d’Autore, già nelle librerie da alcuni mesi.

O LUNA DI MONTE NELLA TERRA DI ORLANDO!
di Giovanni Torres La Torre

Collare di luna chiara
e miele!
nell’azzurrino notturno
te ne vai completando il tondo del ritratto
al limite della collina
ove trovi conio definitivo
di meritata bellezza;
ti salutano, arrivando
raggi di benigne stelle *
cui confidi il nome che cercavi
per spendere l’antico oro,
ma quando al valico
sbigottite si persero le ali della farfalla,
o luna di monte profumata di origani,
volto di regina!
ponendoti in veglia, e benigna
con gesto di rimpianto chiudesti il ventaglio.
Passando da quel margine di agavi
ginestre e pietre di confine,
la tua luce aveva accarezzato
il riposo assonnato degli antenati,
le terrazze di gerani color rossetto
e tende come vele in attesa di salpare
gravide di vento alle finestre in rifugio d’ombra;
e gli ulivi, amatori di pace
pensierosi nella saggezza delle chiome
e nella purezza del silenzio
di altre frescure di palmizi e pergole
nel gradimento di aromi
come di sacro incenso in brezza pellegrina.

II
Al flauto che chiedeva ansioso
notizie del suo scialle ricamato
avevi svelato il segreto del luogo
ove gli assetati lasciano il nome degli zoccoli
tra i fanghi del canneto,
a lievitare.
Giungeva, in quell’ultimo gioco
di luna piena e girotondo,
la solitudine di un rifugio
dimora di altre stelle, cadenti per ignoti destini
e che avevano smarrito nel vento
il desiderio ad esse confidato.
Per amorevole rimozione della memoria
su alberi antichi e pagine in attesa
con segnali di violette,
anche gli uccelli di Olivier Messiaen
avevano smesso di cantare;
scampati al fuoco dei piromani
i mondi della fatica della voce, pure loro
erano morti e sepolti,
e anche le api non giocavano più coi vaghi fiori
nelle erbe di stile gentile
e misti di nettare di bellezza chiara
nel loro sereno tempo ormai lontano.
Non si udivano più ossessioni di grilli
né cicale raccontare storie vere o fandonie,
né arpeggi di conforto o confessioni
giungevano dalla villa delle magnolie.

III
Da quelle parti di dimenticanze e ombre eterne,
la luce limpida dell’alba bacia ancora
il verde sacro dei cipressi
che non odono più i galli cantare.

Torquato Accetto, Rime.
Torquato Tasso, Il concilio dei demoni (canto IV).

Capo d’Orlando, Maggio – Agosto 2015

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