Nel cielo solenne del monastero di Fragalà

di Giovanni Torres La Torre

a Nicola Piovani

I
Non trovavi chi eri andato a cercare,
d’altro canto potevi anche ingannarti
non conoscendo ombra di ritratto,
né turbamento di musica
né stupore che regge bellezza di sua scrittura.
Poteva anche essere foglia curativa
per lenire un dolore
o fiore a basso stelo che ascolta un suono
in luogo di meditazione.
Potevano essere il solenne silenzio del portale
e i cocci delle argille cotte incastonati nei muri,
quasi un ricamo, o il castagno del portone
segnato dalle tarme, accarezzato dal viandante
quando accostava l’udito alle ferite del legno
in attesa di un suono di organo a canne.

II
Sonagli di pascoli dimenticati
avevano i loro colori musicali,
ma solo mani di bambini potevano accostarsi
per farne mazzetti violacei
o bianchi, o dorati con vaghi smalti di giallo di luna,
o verde tenerello di cespugli di avena
nella forma delle spighe del grano,
quando appare nel sacro di paramenti,
e che i fraticelli usavano
per condimento di beveraggi di miele
curativi del catarro.

III
Fiati di preghiere erano lievi
nella carezza che inteneriva l’ansia nascosta del giorno;
note minori di voci in espiazione
nel disegno di spalla delle montagne
ascoltavano gli uccelli giocare tra pomi di rossetto
del biancospino vestito a festa,
attenti anch’essi a rispettare un pentagramma segreto,
il profilo del paesaggio disegnato dai alberi frangivento,
il lamento percepito della campana di Demenna
nell’ora che tutte le cose visibili e invisibili
devono essere al loro posto, sospeso il fiato sul leggio
come uccello al primo volo nel tentare il precipizio.

IV
Non era facile capire di chi fosse
l’invito al silenzio: Nicola Piovani, forse,
ma dal sottobosco vicino, di paretarie,
di origani e ortiche e prugnoli e mobili tappeti di felci,
fuggivano note minori che cercavano soccorso,
note di molti alfabeti giunti da lontano
che faticavano la loro connessione al coro
e l’invito al confronto con la bellezza delle cose,
con pause e silenzi.
Ma quando, da sentiero che sale dal fiume
con bordi in racemi di stelle bluastre,
un fiorire di borragini indicherà un’altra strada,
solo allora una sospensione di percorso per riprendere fiato
e una sosta oltre la quale la vista si perderà nella lontananza,
diranno chi cercavi.

V
Rondini appaiono nel cielo solenne
del Monastero di Fragalà,
pare cerchino di indicare una strada
volgendo il volo dalla lode sospesa nella cantoria
ad altro luogo di espiazione.
Che da là fosse passato il maestro Nicola Piovani
non è dato sapere, ma la magia della sua bacchetta
che conduce ancora domande e risposte
e il danzare delle mani sulla tastiera,
conoscono le armonie del paesaggio della bellezza
che reggono quei luoghi,
le fisionomie di angeli in maestose elevazioni
di veli bianchi con bordi d’oro.

VI
Al giorno che si affatica a piantare la vita,
allo zappatore intendo allo scasso della terra,
prima che appaia la luna resta il tempo
per bagnarsi la fronte all’acqua del mascherone superstite,
alla fontana del bosco della memoria
nell’attimo che l’ultima farfalla
gioca valicando spensierata la siepe dell’infinito
e le ultime note del pentagramma.

Capo d’Orlando, 5 luglio 2017

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