di Giovanni Torres La Torre
Intimità di suono,
appena un tremito d’ali
stringe tra le braccia
una presenza che nasconde il corpo,
giocando la sua parte è variazione di violino
o brusio d’ape a siepi di more appena insanguinate,
innocenza vermiglia nell’ultima parola
senza promessa di ritorno affida al mare che amava
il nome greco della Terra.
E quando, tra alternanza di pietre sull’onda
e desiderio da confidare un sogno
a vana stella cadente, il tremore che torna
è per una resa dei conti rimasta aperta
tra l’inizio e la fine della festa breve.
Già bisbiglia la vita specchiandosi nei laghetti,
sotto il Faro ove si andava a giocare
a nascondino nell’ombra indolente delle barche.
Nel sogno, da punta a punta di lenzuolo
si era nascosto anche il ricamo del cielo
che da eternità segnala le costellazioni:
da qualche parte, l’Orsa maggiore
era andata a far visita alle comari del quartiere,
e anche la Stella polare, amica dei naviganti
in soccorso in qualche dove
per orientare destini di aquiloni.
Ancora per poco, giardini di limoni
dormiranno nella pianura, a vista sbiancata di luna
ostinata a non svelare l’insonnia
al tenero fiore degli oleandri,
alla fanciulla che amava il mare,
sognava le stelle abbracciando innocenza di guanciali.
Dalle lontananze che abiti, oh amorevole luna,
figura eterna di favola etrusca dorata di rame!,
illumina il volto della fanciulla,
il sorriso del suo rimpianto per la vita incompiuta.
Capo d’Orlando, 11 agosto 2017