Può accadere di perdersi
in viali di intrecci di silenzi
di chiome che serpeggiano.
Si dipana scheletro di un sogno
le cui orme non hanno ancora
smarrito i nomi
che sappiano indicare
una via d’uscita.

Nell’intenso dettaglio del niente
è possibile trapeli
un segnale di luce
di piccole cose
della storia di una vita
che solo un rigattiere
riesce a percepire.

Capo d’Orlando, contrada S. Gregorio, Maggio 2020

Di Giovanni Torres La Torre

Questo amore che torna
con passi sicuri
tra vigne
ove forse autunno ci porterà
con colori di tenerezza,
questo giorno, madre
non voglio finire di vivere con te,
perchè andandomene
tu avrai capito
che potrò perdere la testa.
Ma quando dovrò partire,
come dirti che ho un’altra madre
quella del ragazzo ammazzato come un coniglio,
come dirti che potevo essere io a non tornare
dal sentiero della speranza
e non farti capire
che il mio abbraccio
era per l’ultima volta?

Formica mia,
come nei giorni di freddo
ci raccoglievi
attorno alla rosa che calava
sul pane che in estate avevi preso
spiga a spiga
su quel palmo di terra e ferite
ove noi eravamo leggenda.
Come crescemmo in fretta
per scappare da casa,
in cerca di frutti,
e come fummo assassini
appena capaci di tirare la fionda.

Di Giovanni Torres La Torre

A te madre ritorno
quando la luce
dai colli ultimi dell’orizzonte
trabocca nel sonno
e col pianto alle mani
ti porgo i miei anni
nel ricordo bianco
dell’infanzia
quando mi perdevo
cavalcioni
sul muro breve
della mia fanciullezza.

di Giovanni Torres La Torre

Questo è ora il tuo corpo,
ricordo e cenere del frumento di sconfinante colline
in giallore di sole che matura ancora le spighe,
accorda chitarre di cicale e grilli,
ingrandiva richiami striduli di uccelli;
corvi e altra specie in vocazione di rapina,
sono tornati lungo orizzonti di fatiche
nelle terre spogliate da Verre,
ladro dell’Impero di cui fu Pretore,
storia tramandata da Cicerone
nella bella scrittura delle Verrine.

Di Giovanni Torres La Torre

I
Era festa quella sera a Guernica
e del poeta che aveva consegnato alla poesia
il mistero pieno della vita, invano chiedevi:
nessuno ricordava i nomi dei fiori del miele
né l’anima del cantore
l’impossibile amore, dolorosa ferita
nel terreno del suo giardino d’agonia.
Nessuno ricordava il nero delle lacrime del papavero
né il colore del fieno o del giglio della camicia,
la freccia al cuore della madonna pellegrina
e la la bocca della rosa che non cercava l’aurora
cercava altra cosa.

Non più scorrevano dopo tante lune
alle foglie del gelso della fontana delle lacrime¹,
le gocce amare che nel tempo non lontano
avevano negato ristoro
a labbra con pallore di morte.

II
Dopo, fu il giorno di Guernica²:
la storia racconta che a spaventare le rondini
improvvisi nel cielo rombarono i bombardieri;
caddero i vivi, foglie nell’autunno della quercia
alla cui ombra sostavano i re di Castiglia³,
nei tempi felici ad ammirare i rilievi vegetali
che fasciavano l’età dell’antico tronco del giuramento,
le vegetazioni che avvolgevano il racconto
un tempo fastoso nei ricami di arazzi di ruggine e oro
e musiche di navate gotiche
sospese tra gli incensi, nostri profumi smarriti,
delle cattedrali di Siviglia.

III
Più in là, i volti erano già fisionomie stravolte
nei segni del pittore che urlava al cielo con pazzia di madre
e il silenzio, tra le braccia, di bambino morto
e il lume sconvolto che si sporgeva da varco
a tentare una luce alla speranza di piccolo fiore
il cui nome innocente
invano cerchi ancora nei registri dei risorti4.

  1. Il poeta venne fucilato dai soldati di Franco a Viznar, il 19 Agosto 1936, presso una fontana detta “fuentes de las lagrimas”
  2. Era il 26 Aprile del 1937, le vittime furono 1654, il bombardamento su Guernica fu opera della Legione Condor
  3. I Re di Castiglia si recavano ogni anno a Guernica per rinnovare, sotto la “quercia della libertà”, il giuramento di fedeltà al loro popolo.
  4. Pablo Picasso dipinse Guernica, su incarico del Governo repubblicano, per l’esposizione mondiale di Parigi nel 1937.